Approfondendo la Decisione sullo Stile di Vita dell'XI CG.
Integrare nel progetto comunitario le istanze di formazione e di continuo aggiornamento, stimolando la lettura di pubblicazioni diversificate nei vari ambiti: spirituale-ecclesiale, socio-culturale, economico-politico, e l’uso critico dei nuovi mezzi di comunicazione.
(Dimensione profetica: n° 5 – pag. 45)
Il numero precedente già ci collocava nel contesto della “progettualità”, questo n°5 parla specificamente del “progetto comunitario”. Come il progetto personale, esso è uno strumento e un mezzo indispensabile per orientare la vita della comunità verso il raggiungimento degli obiettivi, degli ideali e dei fini della nostra vocazione e missione. Un elemento fondamentale è quello di “progettare” la “formazione e l’aggiornamento” della Comunità religiosa. Nei contesti odierni, sappiamo bene che i cambiamenti e le trasformazioni sono vertiginose e rapide: direi che si avverano e diffondono “in tempo reale”. Ciò diventa, per noi che nell’annuncio del Vangelo vogliamo e dobbiamo essere “alla testa dei tempi e non alla coda”, una forte sfida e un serio appello a non trascurare la “formazione, l’autoformazione, l’aggiornamento”.
Esperienza frequente nelle nostre Comunità, essendo in mezzo alle esigenze dell’apostolato, della gestione delle opere, del personale, dell’economia e delle case, è il considerare, da parte di tante di noi, il “sedersi” a studiare, riflettere, leggere e programmare come “perdere tempo”. O ancora peggio: “non abbiamo tempo”, “non troviamo il tempo”, privandoci in tal modo di un “tempo” vitale affinché ciò che “facciamo” non diventi solo “attivismo”, come ha detto ultimamente Papa Francesco: la Chiesa (la Congregazione) non è una ONG dispensatrice di servizi, ma l’unico senso delle nostre variatissime attività si radica nell’annuncio, nella profezia, nella carità evangelica.
Senza “darci tempo” per la formazione e l’informazione diversificata, mirata e approfondita, sia a livello personale, sia e ancora di più comunitario, difficilmente saremo in grado di leggere i “segni dei tempi” per riproporre nelle nostre opere e servizi “stili nuovi”, per trasformare in chiave evangelizzatrice, alla luce del PAI, le nostre attività, per imparare a dialogare con tutte le realtà “spirituali-ecclesiali, socio-culturali, economiche-politiche” in modo maturo e costruttivo.
Una volta ho sentito dire: “dimmi cosa leggi… e ti dirò chi sei…” Quindi: cosa leggiamo nelle nostre comunità? Quale spazio e tempo ci diamo per confrontarci e riflettere sulla profezia della nostra vita, delle nostre opere e servizi? Quale spazio per la formazione quotidiana c’è nel Progetto comunitario e personale?
Il tema di oggi apre anche al grande capitolo sull’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione. La Decisione parla di un “uso critico”. Attualmente non possiamo negare che, grazie a questi nuovi mezzi e alle nuove forme di comunicazione personale o di gruppo, anche l’evangelizzazione ha ottenuto un nuovo e sconfinato “spazio” di trasmissione, di scambio, di diffusione e di interazione, in modo velocissimo e universale. Oggi, nelle nostre comunità “tutte” abbiamo il cellulare - o più di uno - (con tutte le possibilità di comunicare attraverso sms, WhatsApp, chat); in quasi tutte le case esiste il collegamento internet (con la possibilità di e-mail personali, la partecipazione a reti sociali: facebook, twitter, e a telefonate virtuali: skype, messanger); in tantissime comunità è già installato il sistema WiFi, che facilita il collegamento senza fili in tutta la casa. Questi sono tutti mezzi in sé stessi buoni, ma dall’osservazione della realtà noto che spesso si è collegati, quasi costantemente, con persone “lontane”, ma non ci si riesce a “collegare” con quelle “vicine”; la comunicazione “virtuale” è maggiore di quella “reale” quando il computer o la televisione ci strappano il tempo e il dialogo con la sorella/fratello “reale”. Allora, ciò che è per natura un mezzo di comunicazione e di relazione diventa “assenza”, perché questi mezzi finiscono per invadere i momenti comunitari d’incontro, di preghiera, i pasti, le feste, le gite… come i momenti di sana solitudine e silenzio. Il dilemma non è se dobbiamo o non dobbiamo usare tali mezzi, non si tratta di “demonizzarli”! Bensì di domandarci: Come li utilizziamo personalmente e comunitariamente? Come aiutarci ed educarci ad un “uso critico” che dia priorità e favorisca le relazioni, la fraternità, l’evangelizzazione e la formazione? Buona riflessione!
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