Approfondendo la Decisione sullo stile di vita Atti dell’XI CG
Vivere i voti con stile comunionale come essere "liberi da" e "liberi per".
(Dimensione sacerdotale: n° 15, pag. 49)
Riprendiamo, dopo la celebrazione delle Assemblee locali, la riflessione mensile sullo “stile di vita”. Il “pezzetto” di oggi ci colloca sul bel tema dei “voti” e, per ragioni ovvie di spazio, ci soffermeremo solo su due aspetti: la libertà e la comunionalità.
La libertà: leggiamo in GS 17: “la dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un cieco impulso interno o per mera coazione esterna. Ma tale dignità l’uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene, e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti”.
Allora, questo testo ci ricorda che la professione dei voti, è per noi un atto sublime di libertà e di “libera scelta del bene”. La professione dei “voti” non è fondamentalmente una “rinuncia”, una negazione o repressione della volontà, del possesso o della sessualità: i voti non sono un “no”, ma sono un “sì”. Un “sì” ad una “chiamata divina” e un “sì” di “risposta umana”, di decisione cosciente, di scelta libera, coerente e responsabile, scoperta come l’unica verità della propria vita. Questo “sì” implica le specifiche esigenze della vocazione e del carisma liberamente accolti e, quindi, le rinunce; include la verifica e il confronto con lo stile di vita assunto, in modo che “la scelta di vita presa nel momento della professione potrà essere un punto costante di riferimento e una chiave immutabile d’interpretazione per tutte le decisioni future”[1].
Gesù è per noi il modello più perfetto di questa libertà. Lui, con le sue scelte, ci insegna che la libertà è piena nella misura in cui si dà spazio alla signoria di Dio su di noi e, quindi, la libertà proposta da Cristo fa un salto qualitativo dalla signoria del nostro spirito su noi stessi (autodeterminazione) a quella di Dio su noi: “il mio alimento è fare la tua volontà, o Padre”. Questa volontà lo porta a non lasciarsi opprimere da nessun condizionamento interno, esterno, sociale o religioso, fino ad accogliere la passione e la morte come massimo atto di amore e di coerenza con la scelta fatta: con il sì dell’orto, ci dimostra che, con la grazia di Dio e per opera dello Spirito, è possibile essere liberi, signori di sé, in qualunque situazione, anche le più opprimenti[2].
Alla luce di questa riflessione possiamo capire ciò che questo tema di oggi ci propone: “vivere i voti per essere liberi da e liberi per”. Solo vissuti con questo spirito e con questa consapevolezza i “voti” saranno per noi fonte di gioia, di felicità, di generosità, di libertà, di fecondità fraterna e apostolica. Altrimenti sarebbero per noi e per chi “ci vede” una “gabbia” che, prima o poi, ci renderebbe tristi, malate, egoiste, ipocrite e, quindi, non credibili né attraenti (Papa Francesco direbbe: “zitelle” con faccia di “peperoni in aceto”!).
Per ultimo, la comunionalità: “vivere i voti con stile comunionale”. La nostra scelta vocazionale ci colloca nel seno di una comunità: in una Famiglia religiosa, in una Provincia o missione, in una comunità concreta, in una Chiesa locale e in un’opera o servizio concreti. L’appartenenza alla stessa famiglia come PSMC ci inserisce in un “progetto carismatico” comune e liberamente accolto da ognuna. Non siamo delle “solitarie” o delle “single”, anche quando l’apostolato o la missione ci può chiamare in forma individuale o personale a svolgere qualche servizio, siamo sempre “parte” di un “corpo”. Anche se i nostri “voti” sono sempre una “risposta libera e personale”, sono comunque sempre inseriti nel vissuto di un corpo, di una comunità, di un carisma. “Liberi da”, è essere liberi dall’individualismo, dall’autoriferimento, dall’auto-eremitaggio, dall’isolamento… “Liberi per” è essere liberi per amare, per servire, per costruire, per dare vita e dare la vita.
Questo è lo “stile comunionale” al quale siamo chiamate attraverso la professione dei “voti”: l’amore verginale che tende primariamente all’universalità, ad amare tutti creando e costruendo l’unità, che è fondamento della fraternità universale, è fare esperienza quotidiana di gratuità e disinteresse: è l’amore di amicizia che porta al puro dono di sé, libero, aperto e disponibile a tutti; la povertà che può esprimersi nella storia solo nell’autentica fraternità, che non solo sceglie il non-avere, ma il mettere tutto in comune nel piccolo gruppo e nell’umanità, che è solidarietà, compassione, testimonianza dei veri beni, quelli del Regno di Dio; l’obbedienza che è libera disponibilità alla volontà salvifica di Dio e impegno, attraverso le mediazioni istituzionali, a compiere più pienamente la sua missione di servizio al Regno: la persona autenticamente obbediente secondo il vangelo è libera da sé e dalle proprie idee, per proporre o per cedere, assoggettandosi solo a Dio, nell’autentica disponibilità alla fraternità, alla sua Congregazione[3].
Condividiamo: quale formazione abbiamo ricevuto sul tema di oggi? Quanto già viviamo di questo stile “comunionale” e “libero”? Quali lacune troviamo ancora nel vivere i voti con questo stile? Buon incontro!
[1] Rodriguez Carballo J. ofm, segretario CIVCSVA, Fedeltà e perseveranza vocazionale, Rivista Testimoni, 6/2014, pag. 22.
[2] Cfr. Cappellaro JB, Spiritualità di comunione, La spiritualità dei consigli evangelici, EDB 2008, pag. 601 ss.
[3] Cfr. ibidem pag. 604-629.