Approfondendo la Decisione sullo stile di vita Atti dell’XI CG
Educare a valorizzare il silenzio come ascolto di Dio e dell'altro.
(Dimensione sacerdotale: n° 14, pag. 49)
Il “pezzetto” di questo mese è provvidenziale perché, arrivando nel tempo di Quaresima, può dare luce e senso ai tempi di “silenzio” organizzati come “penitenza”. Ed è proprio questa la domanda: il “silenzio” nella vita spirituale è una “penitenza”? Certamente, se è inteso come un mero astenerci del parlare; per qualcuna potrebbe essere un sacrificio o una penitenza. Ma, è questo il vero significato e senso del “silenzio”?
Nella Bibbia il “silenzio” costituisce lo “spazio”, il “luogo” della “teofania”: “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente si lanciò dal cielo, dal tuo trono regale” (Sap. 18, 14-15). Il “silenzio” è il “luogo” dell’ascolto e dell’incontro: il “mormorio di vento leggero” nel quale Elia capì la presenza di Dio (cfr. 1Re 19,12ss.). Il “silenzio” fecondo di Maria, che ascolta, incontra e accoglie l’annuncio dell’Angelo (Lc 1,26ss.): e il “silenzio” si fa “Parola incarnata”.
Oggi viviamo in una cultura del “rumore”, della “chiacchiera”, degli “auricolari” e abbiamo bisogno di una nuova “educazione” al silenzio.
Il tema di oggi: “educarci a valorizzare il silenzio come ascolto di Dio e dell’altro”, è lontano dal concetto di “silenzio” come mutismo, isolamento, incomunicabilità, indifferenza; insomma, come una “norma ascetica” sterile, fredda, in qualche caso anche “comoda”. Il “silenzio come ascolto” implica vigilanza, attenzione, apertura, contemplazione della presenza e della voce di Dio, della presenza e della voce dell’altro/a.
Quindi, non si possono mai separare “silenzio-ascolto-parola” e, anche se sembra paradossale, “della profondità del silenzio e della parola si alimenta sia il dialogo che la sua autenticità e la comunione che ne è frutto… L’ascesi comunitaria del dialogo è il progressivo cammino sia verso il silenzio di sé e l’accoglienza dell’altro, sia verso la comunicazione/dono di sé e la comunione vicendevole”[1].
Educarci a questo vero “silenzio” non è una cosa semplice, è un’ascesi che chiede sforzo, costanza, metodo, dinamiche, esercitazione. Il “silenzio” “indica il grado di interiorità a cui le persone possono arrivare, e quindi di autonomia, libertà e identità che possono raggiungere. Il silenzio è misura della personalità”[2].
Esistono diversi livelli di silenzio: a. il silenzio fisico (esteriore, stare zitti, che implica controllo e dominio di sé o semplicemente per buona educazione o temperamento); b. il silenzio biopsichico (frutto del ridurre a impotenza, a passività, le reazioni istintive della sensibilità: sentimenti di antipatia o simpatia, piacere o dispiacere, rigetto o attaccamento, depressione o euforia; le tendenze spontanee: ira, violenza, impazienza, durezza, rigidità, lussuria, autosufficienza, vanità, orgoglio, ecc.); c. il silenzio spirituale (frutto del ridurre a passività le tendenze istintive dell’intelligenza, della volontà, dell’affettività[3]. Allora sì, avremo quello “spazio” per l’ascolto di Dio nel quale “Iddio parla, Iddio ara le anime, Iddio lavora in noi, plasma il nostro spirito: Iddio vivifica, Iddio rischiara e lo splendore di Dio sta sopra di noi”[4], e avremo quello “spazio” di ascolto e accoglienza dell’altro/a che ci renderà “segno dell’amore trasformante che lo Spirito Santo infonde nei cuori più forte dei lacci della carne e del sangue”[5].
Educarci a questo “silenzio” è anche educarci alla “parola”, all’ascesi del dialogo. Il “silenzio” di Maria nell’Annunciazione generò la Parola, il “silenzio” di Maria nel Cenacolo generò la Chiesa. Così dal “silenzio” nasce anche la comunità. “Silenzio e parola sono così: a) i canali attraverso i quali si edifica o si distrugge la relazione interpersonale e comunitaria; b) i canali attraverso i quali si esprime, o non si esprime, la propria interiorità, e di conseguenza si crea, o non si crea, la comunione; c) i canali attraverso i quali si dà spazio a Dio nella relazione in quanto tale. Nel dialogo si comunica reciprocamente l’amore e la vita di Dio. Così il silenzio e la parola costruiscono: l’amicizia come fatto umano e teologale, la comunione con Dio e in Dio, e l’unità mistica, vale a dire la maturità ecclesiale della comunità”[6].
Analizziamo personalmente e comunitariamente i nostri “silenzi” e il nostro “silenzio”. Quante “parole” vere, belle e buone, generiamo nel “silenzio” e le comunichiamo agli altri/e? Quanti “silenzi” falsi, comodi, complici, aggressivi viviamo lungo la giornata e quali “parole” infeconde si generano da questi “silenzi”?
Come “educarci al silenzio come ascolto di Dio e dell’altro”? Quali dinamiche e metodi possiamo utilizzare per maturare un vero “silenzio spirituale” che sia “canale” di relazioni nuove? Buon dialogo!
[1] Cappellaro JB, Spiritualità di comunione, Parte IV, La spiritualità del dialogo: Silenzio e parola, EDB 2008, pag. 776 ss.
[2] Ibidem, pag. 777.
[3] Ibidem, cfr. pag. 777.
[4] PSMC Costituzioni, Vita di preghiera, pag. 63; Don Orione 8-12-1922.
[5] Ibidem, Art. 49.
[6] Ibidem, Cappellaro JB, pag. 783.