Approfondendo la Decisione sullo stile di vita Atti dell’XI CG
Impostare le strutture della vita comunitaria sul valore e la dignità della persona con una circolarità più dinamica nei rapporti e nell’agire, favorendo la flessibilità e la semplicità nell’organizzazione.
(Dimensione sacerdotale: n° 18, pag.50)
Il “puzzle” precedente ci ha fatto riflettere ed approfondire le dinamiche del nuovo paradigma di Chiesa e dello “stile nuovo” di vivere e di agire come gioiosi discepoli di Gesù: il dialogo, la partecipazione, la condivisione, la corresponsabilità, la riconciliazione, la progettualità, l’accoglienza e la vicinanza. Il “pezzetto” di oggi ci conduce ancora in avanti: è importante approfondire i valori, ma è decisivo trasformare la vita, gli schemi, le strutture in coerenza con i valori, affinché il “modo-stile vissuto” sia evidenzia “muta” dei valori.
È assolutamente inutile parlare di dialogo e corresponsabilità, di progettualità e accoglienza… se nei nostri ambienti comunitari e apostolici non si dialoga, non si partecipa e progetta, non si accoglie… La “ricreazione”, “rifondazione” e “innovazione” delle forme, dell’organizzazione e delle strutture nuove e inedite la realizzeranno solo persone “ricreate, rifondate, rinnovate”. Le nostre persone: abitudini, costumi, pensieri, parole e atti dovrebbero essere sostanzialmente e visibilmente “dialogali”, “partecipative”, “accoglienti”, “comunicative”. Le nostre comunità: orari, strutture di partecipazione e di coinvolgimento, forme di incontro e di scambio tra di noi e con i laici, dovrebbero essere concretamente “dialogali”, “partecipative”, “aperte”, “flessibili”, “coinvolgenti”, “semplici”.
Chi non ha mai pensato o detto questa frase: “si parla tanto… ma non cambia nulla!”? Certo! Ma mi domando e vi domando: perché non cambia nulla? Non sarà che dietro a certe espressioni, in realtà, nascondiamo le nostre irresponsabilità, le nostre pigrizie, le nostre paure? Queste sono frasi di chi, dall’altro marciapiede, osserva, punta il dito, emette sentenze e critiche distruttive, ma non “entra” nel dinamismo del cambio e della conversione. E questo non viene da Dio, ma dal Nemico, che cerca solo di scoraggiare, di distruggere e seminare zizzania.
Mai il cambiamento avverrà solo per “decreti”, ma avverrà solamente e unicamente per “decisioni personali”, per adesione, per conversione personale. Tutte soffriamo l’inadeguatezza di certe “forme” (di preghiera, di vita comunitaria, di apostolato, di obbedienza), in tutte le opportunità che ci viene chiesta una valutazione della nostra vita, eleviamo questo “grido”. Ma, quando arriva il momento personale e comunitario di trasformare le abitudini, le dinamiche, l’organizzazione, l’orario, l’apertura… No!!! Perché “sempre si è fatto così”! Perché “Don Orione… perché le Costituzioni… perché… perché…” ecc. ecc.… Ma: “perché”? Magari perché non ci vogliamo scomodare, perché non vogliamo rischiare, perché abbiamo paura di “innovare”… ma se i “frutti” non sono quelli aspettati, allora sì, è più facile scaricare la responsabilità del nostro disaggio, delle nostre demotivazioni e mediocrità, sull’altra, specialmente se quest’”altra” è l’autorità a qualsiasi livello.
Non è questa la logica di Gesù. Gesù ha creduto ai valori nuovi del Regno, ha aderito personalmente, le ha annunciato ai discepoli e al popolo, ma non ha scaricato le sue responsabilità su nessuno, e ci ha redenti perché ha deciso personalmente di viverli, pagando con la sua vita. Solo allora è nata la nuova umanità, il nuovo popolo, la nuova creazione, la nuova forma di relazionarci con Dio, come Padre e fra noi come fratelli e sorelle.
Il “pezzetto” di oggi è un invito a superare il dualismo e l’ipocrisia, è una chiamata a “prendere posizione”, innanzitutto e prima di tutto “personalmente”, a superare la schiavitù della paura del nuovo, dell’inedito per “rischiare” le vie mai viste che lo Spirito Santo ci sta indicando con “gemiti inesprimibili” (Rm 8,26b). La Vita religiosa avrà futuro solo se le persone consacrate siamo disponibili a “ricrearla” sul “valore e la dignità della persona umana”che siamo oggi. È questo ciò che l’XI Capitolo generale ha scoperto e ha plasmato nella Decisione sullo stile di vita e che tutte abbiamo accolto con speranza e con gioia. Non c’è tempo da perdere! Abbandoniamo subito la “trincea” della mentalità del: “nulla cambia!”.
Se è vero che: “querer es poder”! (“volere è potere!”), allora domandiamoci: cosa “voglio”, “desidero”? Lo stile delle mie relazioni con le altre e con gli altri, è quello che “voglio”? lo stile di preghiera e di spiritualità che vivo attualmente, è quello che “voglio”? lo stile con cui mi sento e sono missionaria e realizzo l’apostolato oggi, è quello che “voglio”? Sono sicura che è questo ciò che “vuole” Gesù, la Chiesa, Don Orione…? Allora, comincia oggi a “volere” secondo i loro valori e vedrai che “si può”! Comincia tu, io… con coraggio e umiltà… ad essere “quel cambio” desiderato, e vedrai che non saranno più “solo parole” gli Atti dei Capitoli, le Circolari, gli incontri formativi, i discorsi del Papa… Dio ha messo questo “potere” nelle mie e nelle tue mani: “impostare strutture adeguate alla persona che siamo oggi, flessibili, semplici, più leggere ma più autentiche, per favorire il calore della vita e dell’esperienza, e non il ghiaccio della legge e della formalità”. Altrimenti saremo noi stesse ad uccidere di nuovo Gesù, sotto forme e stili obsoleti e sterili, e sotto le quali, dopo, uccideremo anche la nostra gioia, il nostro entusiasmo, la nostra passione missionaria, la profezia… la nostra vocazione!
Leggiamo personalmente e decidiamo una personale e concreta conversione e trasformazione. Condividiamo comunitariamente, ricordando il “pezzetto” precedente e decidiamo insieme quelle “trasformazioni” comunitarie che comincino a rendere concrete le “parole”. Ricordandoci che “querer es poder” (“volere è potere”).
Coraggio e buona riflessione!
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29 dicembre
E' online il PUZZLE della Superiora generale per il mese di GENNAIO 2015:
Promuovere dinamiche di dialogo, partecipazione, condivisione, corresponsabilità, riconciliazione, progettualità, accoglienza, vicinanza, e favorire momenti di distensione e spazi di tempo per coltivare la fraternità.
(Dimensione sacerdotale: n° 17, pag. 49-50)
Approfondendo la Decisione sullo stile di vita Atti dell’XI CG
Promuvere dinamiche di dialogo, partecipazione, condivisione, corresponsabilità, riconciliazione, progettualità, accoglienza, vicinanza, e favorire moenti di distensione e spazi di tempo per coltivare la fraternità.
(Dimensione sacerdotale: n° 17, pag. 49-50)
Riprendiamo le riflessioni mensili, dopo la sosta di questi mesi, che è stata per noi provvidenziale, per la grande luce che ci è venuta dall’Assemblea generale e che arricchirà ancora di più il nostro approfondimento della Decisione sullo “stile di vita”.
Il “pezzetto” di questo mese ci è di grande aiuto, dato che in quasi tutte le nostre realtà, ci troviamo ad elaborare o rielaborare i progetti provinciali e locali, e anche, possiamo dire, i progetti personali.
È stata giustamente l’Assemblea generale, che ha invitato tutte le PSMC a riprendere un cammino di interiorità, di fraternità e di missionarietà, attraverso “nuove dinamiche” che ci aiutano ad attingere alla “fonte”, alla “sorgente”, che è Gesù, alla sua Parola. Siamo tutte invitate a sperimentare nuove “forme” di accesso alla spiritualità e alla fraternità, “disimparando” i vecchi stili per “imparare” le strade inedite dello Spirito Santo, per giungere ad una nuova maturità umana, spirituale e apostolica.
Il “puzzle” di oggi ci aiuta a riflettere su alcune di queste dinamiche che sono, inoltre, alla base della spiritualità, della comunione promossa dal Concilio Vaticano II e alla quale ci chiama con sollecitudine Papa Francesco.
- il dialogo: che non è soltanto dire parole, chiacchiere, informazione, ma fondamentalmente ascolto, comunicazione profonda e vera, dono, rispetto, reciprocità;
- la partecipazione: che non è soltanto “essere presente”, ma “essere parte” viva, creativa, vitale della comunità e della Provincia;
- la condivisione: che non è solo “uso comune” o distribuzione, ma generosità, distacco, solidarietà, giustizia nell’offrire doni, pensieri, tempo, spazi, lavoro, gioie, pene, riuscite e sconfitte;
- la corresponsabilità: che non è solo fare ciò che “si deve” o ciò che “mi tocca”, ma che è essere personalmente responsabile della vita dell’altra, della comunità, della Provincia, del servizio apostolico e della vita della congregazione (senso di appartenenza!);
- la riconciliazione: che non è solo “sopportazione”, essere “in pace”, ma che è soprattutto perdono autentico, è offrire e offrirsi nuove opportunità di ricominciare, purificazione della memoria, docilità allo Spirito, fede e fiducia in sé e negli altri, altre;
- la progettualità: che non è solo organizzazione, ordine, ancora meno, rigidità di schemi e di iniziative, ma è tendere insieme verso il fine apostolico e carismatico comune, è uso giusto del tempo, dei doni di ognuna, delle risorse, evitando la dispersione e l’improvvisazione, che generano quasi sempre disagio e stanchezza;
- l’accoglienza: che non è solo “accettazione”, ma apertura di cuore verso l’altra/altro, saper farle spazio dentro al cuore, integrazione dell’alterità come diversità, libertà ed empatia;
- la vicinanza: che non è solo “vivere insieme”, ma è farsi “prossimo”, sensibilità, capacità di compatire con l’altra/altro, è parola e gesto opportuno, delicatezza e rispetto, intuizione e tenerezza materna;
In sintesi tutti questi atteggiamenti potrebbero esprimersi con un'unica parola: “AMORE”, di quello che ci parla Gesù: “dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).
Ma, così come un seme ha bisogno di un “microclima” adeguato per poter germogliare, crescere e diventare una pianta o un albero, questi atteggiamenti hanno bisogno di un “microclima comunitario” che favorisca la conoscenza reciproca, l’apertura e la fiducia. Quindi, non dovrebbero mancare nel nostro Progetto comunitario e personale, dei momenti concreti, sistematici e sereni per la “distensione e gli spazi per coltivare la fraternità”.
La nostra vita è già in se stessa attiva, e spesso sono proprio le tantissime attività ed impegni apostolici, che riempiono tutta la nostra giornata, tutta la nostra settimana, il nostro mese, il nostro anno… e rischiamo di vivere insieme, di fare molte cose (anche miracoli!), di correre per lavorare, correre per pregare, correre per la Messa, correre per mangiare… e nel correre… non “vedere” l’altra, l’altro che ci “sta accanto”.
Nella pag. 48 degli Atti XI CG si dice: “il senso della vita fraterna è la condivisione della propria esperienza di Dio nella fede, nella speranza e nella carità, degli ideali, degli obiettivi e dei fini apostolici e carismatici della comunità”.
Proviamo in questo mese, ad analizzare il nostro “ritmo” di vita, ad analizzare se il nostro “stile” e la nostra “organizzazione” favoriscono il vissuto di questi valori. Analizziamoci personalmente se siamo disposte a fare spazio all’Amore, a purificare “l’io egoico-bellico” che è in ognuna di noi, per diventare sempre di più “persone comunionali”. E proviamo ad avere il coraggio di “disimparare” qualcosa…
Buona riflessione!
28 luglio
E' online il PUZZLE della Superiora generale per il mese di AGOSTO 2014:
"Curare la bellezza degli ambienti della comunità e dell’apostolato con femminilità e sobrietà”.
(Dimensione sacerdotale: n° 16, pag. 49)
Approfondendo la Decisione sullo stile di vita Atti dell’XI CG
Curare la bellezza degli ambienti della comunità e dell’apostolato con femminilità e sobrietà”.
(Dimensione sacerdotale: n° 16, pag. 49)
Per troppo tempo, la bellezza, è stata quasi mandata in “esilio” in un certo modo di capire e vivere la spiritualità e l’ascesi, nella vita cristiana. L’accento era messo specialmente sulla razionalità (imparare e conoscere la “verità”) e sulla volontà (esercitarsi nella “bontà”, nel “fare del bene ed essere buoni”). La “bellezza”, spesso confusa con la vanità ed il piacere, è stata “giudicata” quasi “pericolosa” per il vissuto e per l’osservanza della virtù, una perdita di tempo! Ma vediamo che, sia nella Bibbia, sia nei Santi, il tema della “bellezza” è stato sempre presente. Perché? Lascio rispondere al famoso Card. Martini, nella Lettera pastorale del 1999, “Quale bellezza salverà il mondo?” dice: “La bellezza di cui parlo non è dunque la bellezza seducente, che allontana dalla vera meta cui tende il nostro cuore inquieto: è invece la "bellezza tanto antica e tanto nuova", che Agostino confessa come oggetto del suo amore purificato dalla conversione, la bellezza di Dio; è la bellezza che caratterizza il Pastore che ci guida con fermezza e tenerezza sulle vie di Dio, che è detto dal vangelo di Giovanni "il Pastore bello, che dà la vita per le sue pecore" (Gv 10,11). E’ la bellezza cui fa riferimento san Francesco nelle Lodi del Dio altissimo quando invoca l’Eterno dicendo: "Tu sei bellezza!"… Non si tratta quindi di una proprietà soltanto formale ed esteriore, ma di quel momento dell’essere a cui alludono termini come gloria (la parola biblica che meglio dice la "bellezza" di Dio in quanto manifestata a noi), splendore, fascino: è ciò che suscita attrazione gioiosa , sorpresa gradita, dedizione fervida, innamoramento, entusiasmo; è ciò che l’amore scopre nella persona amata, quella persona che si intuisce come degna del dono di sé, per la quale si è pronti a uscire da noi stessi e giocarsi con scioltezza”.
Da questa bella citazione del Card. Martini prendiamo alcuni spunti per la riflessione di questo mese.
Rivediamo la bellezza della nostra vita, personale e comunitaria. Partire dalle cose più semplici: da noi stesse, dalla “bellezza” di un volto sereno e gioioso, dalla “femminilità e sobrietà” nell’ordine personale, negli ambienti comunitari, nelle nostre stanze, nei luoghi di lavoro e di apostolato. Partire dalla “bellezza” dei nostri gesti, pensieri e parole, delle relazioni fra di noi, con i laici, con gli amici, con i dipendenti. Rivediamo la “bellezza” della nostra preghiera, della musica, del canto, del silenzio e del dialogo. La “bellezza” è gentilezza, educazione, buoni modi, cordialità. La “bellezza” vuole uscire dal suo “esodo”, riempire la nostra Vita consacrata di nuova luce, di nuovo fascino. La “verità” e la “bontà” sono più splendenti se rivestite dalla “bellezza” che è “gloria”, che è anche “santità”. Ma questo l’avremo solo attingendo alla fonte della “Bellezza”, come Mosè, che scendendo dal Monte Sinai, “la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Lui” (Es 34,29b).
Rivediamo quanto abbiamo di questa “bellezza”? Da quale “esodo” dovremo far tornare la “bellezza”? Come rendere tutte le dimensioni della nostra Vita consacrata, più “belle”? Quale legame c’è tra la “bellezza” e la “contemplazione”? Buona riflessione!
30 giugno
E' online il PUZZLE della Superiora generale per il mese di LUGLIO 2014:
Vivere i voto con stile comunionale come essere "liberi da" e "liberi per".
(Dimensione sacerdotale: n° 15, pag. 49)
Approfondendo la Decisione sullo stile di vita Atti dell’XI CG
Vivere i voti con stile comunionale come essere "liberi da" e "liberi per".
(Dimensione sacerdotale: n° 15, pag. 49)
Riprendiamo, dopo la celebrazione delle Assemblee locali, la riflessione mensile sullo “stile di vita”. Il “pezzetto” di oggi ci colloca sul bel tema dei “voti” e, per ragioni ovvie di spazio, ci soffermeremo solo su due aspetti: la libertà e la comunionalità.
La libertà: leggiamo in GS 17: “la dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un cieco impulso interno o per mera coazione esterna. Ma tale dignità l’uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene, e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti”.
Allora, questo testo ci ricorda che la professione dei voti, è per noi un atto sublime di libertà e di “libera scelta del bene”. La professione dei “voti” non è fondamentalmente una “rinuncia”, una negazione o repressione della volontà, del possesso o della sessualità: i voti non sono un “no”, ma sono un “sì”. Un “sì” ad una “chiamata divina” e un “sì” di “risposta umana”, di decisione cosciente, di scelta libera, coerente e responsabile, scoperta come l’unica verità della propria vita. Questo “sì” implica le specifiche esigenze della vocazione e del carisma liberamente accolti e, quindi, le rinunce; include la verifica e il confronto con lo stile di vita assunto, in modo che “la scelta di vita presa nel momento della professione potrà essere un punto costante di riferimento e una chiave immutabile d’interpretazione per tutte le decisioni future”[1].
Gesù è per noi il modello più perfetto di questa libertà. Lui, con le sue scelte, ci insegna che la libertà è piena nella misura in cui si dà spazio alla signoria di Dio su di noi e, quindi, la libertà proposta da Cristo fa un salto qualitativo dalla signoria del nostro spirito su noi stessi (autodeterminazione) a quella di Dio su noi: “il mio alimento è fare la tua volontà, o Padre”. Questa volontà lo porta a non lasciarsi opprimere da nessun condizionamento interno, esterno, sociale o religioso, fino ad accogliere la passione e la morte come massimo atto di amore e di coerenza con la scelta fatta: con il sì dell’orto, ci dimostra che, con la grazia di Dio e per opera dello Spirito, è possibile essere liberi, signori di sé, in qualunque situazione, anche le più opprimenti[2].
Alla luce di questa riflessione possiamo capire ciò che questo tema di oggi ci propone: “vivere i voti per essere liberi da e liberi per”. Solo vissuti con questo spirito e con questa consapevolezza i “voti” saranno per noi fonte di gioia, di felicità, di generosità, di libertà, di fecondità fraterna e apostolica. Altrimenti sarebbero per noi e per chi “ci vede” una “gabbia” che, prima o poi, ci renderebbe tristi, malate, egoiste, ipocrite e, quindi, non credibili né attraenti (Papa Francesco direbbe: “zitelle” con faccia di “peperoni in aceto”!).
Per ultimo, la comunionalità: “vivere i voti con stile comunionale”. La nostra scelta vocazionale ci colloca nel seno di una comunità: in una Famiglia religiosa, in una Provincia o missione, in una comunità concreta, in una Chiesa locale e in un’opera o servizio concreti. L’appartenenza alla stessa famiglia come PSMC ci inserisce in un “progetto carismatico” comune e liberamente accolto da ognuna. Non siamo delle “solitarie” o delle “single”, anche quando l’apostolato o la missione ci può chiamare in forma individuale o personale a svolgere qualche servizio, siamo sempre “parte” di un “corpo”. Anche se i nostri “voti” sono sempre una “risposta libera e personale”, sono comunque sempre inseriti nel vissuto di un corpo, di una comunità, di un carisma. “Liberi da”, è essere liberi dall’individualismo, dall’autoriferimento, dall’auto-eremitaggio, dall’isolamento… “Liberi per” è essere liberi per amare, per servire, per costruire, per dare vita e dare la vita.
Questo è lo “stile comunionale” al quale siamo chiamate attraverso la professione dei “voti”: l’amore verginale che tende primariamente all’universalità, ad amare tutti creando e costruendo l’unità, che è fondamento della fraternità universale, è fare esperienza quotidiana di gratuità e disinteresse: è l’amore di amicizia che porta al puro dono di sé, libero, aperto e disponibile a tutti; la povertà che può esprimersi nella storia solo nell’autentica fraternità, che non solo sceglie il non-avere, ma il mettere tutto in comune nel piccolo gruppo e nell’umanità, che è solidarietà, compassione, testimonianza dei veri beni, quelli del Regno di Dio; l’obbedienza che è libera disponibilità alla volontà salvifica di Dio e impegno, attraverso le mediazioni istituzionali, a compiere più pienamente la sua missione di servizio al Regno: la persona autenticamente obbediente secondo il vangelo è libera da sé e dalle proprie idee, per proporre o per cedere, assoggettandosi solo a Dio, nell’autentica disponibilità alla fraternità, alla sua Congregazione[3].
Condividiamo: quale formazione abbiamo ricevuto sul tema di oggi? Quanto già viviamo di questo stile “comunionale” e “libero”? Quali lacune troviamo ancora nel vivere i voti con questo stile? Buon incontro!
[1] Rodriguez Carballo J. ofm, segretario CIVCSVA, Fedeltà e perseveranza vocazionale, Rivista Testimoni, 6/2014, pag. 22.
[2] Cfr. Cappellaro JB, Spiritualità di comunione, La spiritualità dei consigli evangelici, EDB 2008, pag. 601 ss.
[3] Cfr. ibidem pag. 604-629.
27 marzo
E' online il PUZZLE della Superiora generale per il mese di APRILE 2014:
Educare a valorizzare il silenzio come ascolto di Dio e dell'altro.
(Dimensione sacerdotale: n° 14, pag. 49)
Approfondendo la Decisione sullo stile di vita Atti dell’XI CG
Educare a valorizzare il silenzio come ascolto di Dio e dell'altro.
(Dimensione sacerdotale: n° 14, pag. 49)
Il “pezzetto” di questo mese è provvidenziale perché, arrivando nel tempo di Quaresima, può dare luce e senso ai tempi di “silenzio” organizzati come “penitenza”. Ed è proprio questa la domanda: il “silenzio” nella vita spirituale è una “penitenza”? Certamente, se è inteso come un mero astenerci del parlare; per qualcuna potrebbe essere un sacrificio o una penitenza. Ma, è questo il vero significato e senso del “silenzio”?
Nella Bibbia il “silenzio” costituisce lo “spazio”, il “luogo” della “teofania”: “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente si lanciò dal cielo, dal tuo trono regale” (Sap. 18, 14-15). Il “silenzio” è il “luogo” dell’ascolto e dell’incontro: il “mormorio di vento leggero” nel quale Elia capì la presenza di Dio (cfr. 1Re 19,12ss.). Il “silenzio” fecondo di Maria, che ascolta, incontra e accoglie l’annuncio dell’Angelo (Lc 1,26ss.): e il “silenzio” si fa “Parola incarnata”.
Oggi viviamo in una cultura del “rumore”, della “chiacchiera”, degli “auricolari” e abbiamo bisogno di una nuova “educazione” al silenzio.
Il tema di oggi: “educarci a valorizzare il silenzio come ascolto di Dio e dell’altro”, è lontano dal concetto di “silenzio” come mutismo, isolamento, incomunicabilità, indifferenza; insomma, come una “norma ascetica” sterile, fredda, in qualche caso anche “comoda”. Il “silenzio come ascolto” implica vigilanza, attenzione, apertura, contemplazione della presenza e della voce di Dio, della presenza e della voce dell’altro/a.
Quindi, non si possono mai separare “silenzio-ascolto-parola” e, anche se sembra paradossale, “della profondità del silenzio e della parola si alimenta sia il dialogo che la sua autenticità e la comunione che ne è frutto… L’ascesi comunitaria del dialogo è il progressivo cammino sia verso il silenzio di sé e l’accoglienza dell’altro, sia verso la comunicazione/dono di sé e la comunione vicendevole”[1].
Educarci a questo vero “silenzio” non è una cosa semplice, è un’ascesi che chiede sforzo, costanza, metodo, dinamiche, esercitazione. Il “silenzio” “indica il grado di interiorità a cui le persone possono arrivare, e quindi di autonomia, libertà e identità che possono raggiungere. Il silenzio è misura della personalità”[2].
Esistono diversi livelli di silenzio: a. il silenzio fisico (esteriore, stare zitti, che implica controllo e dominio di sé o semplicemente per buona educazione o temperamento); b. il silenzio biopsichico (frutto del ridurre a impotenza, a passività, le reazioni istintive della sensibilità: sentimenti di antipatia o simpatia, piacere o dispiacere, rigetto o attaccamento, depressione o euforia; le tendenze spontanee: ira, violenza, impazienza, durezza, rigidità, lussuria, autosufficienza, vanità, orgoglio, ecc.); c. il silenzio spirituale (frutto del ridurre a passività le tendenze istintive dell’intelligenza, della volontà, dell’affettività[3]. Allora sì, avremo quello “spazio” per l’ascolto di Dio nel quale “Iddio parla, Iddio ara le anime, Iddio lavora in noi, plasma il nostro spirito: Iddio vivifica, Iddio rischiara e lo splendore di Dio sta sopra di noi”[4], e avremo quello “spazio” di ascolto e accoglienza dell’altro/a che ci renderà “segno dell’amore trasformante che lo Spirito Santo infonde nei cuori più forte dei lacci della carne e del sangue”[5].
Educarci a questo “silenzio” è anche educarci alla “parola”, all’ascesi del dialogo. Il “silenzio” di Maria nell’Annunciazione generò la Parola, il “silenzio” di Maria nel Cenacolo generò la Chiesa. Così dal “silenzio” nasce anche la comunità. “Silenzio e parola sono così: a) i canali attraverso i quali si edifica o si distrugge la relazione interpersonale e comunitaria; b) i canali attraverso i quali si esprime, o non si esprime, la propria interiorità, e di conseguenza si crea, o non si crea, la comunione; c) i canali attraverso i quali si dà spazio a Dio nella relazione in quanto tale. Nel dialogo si comunica reciprocamente l’amore e la vita di Dio. Così il silenzio e la parola costruiscono: l’amicizia come fatto umano e teologale, la comunione con Dio e in Dio, e l’unità mistica, vale a dire la maturità ecclesiale della comunità”[6].
Analizziamo personalmente e comunitariamente i nostri “silenzi” e il nostro “silenzio”. Quante “parole” vere, belle e buone, generiamo nel “silenzio” e le comunichiamo agli altri/e? Quanti “silenzi” falsi, comodi, complici, aggressivi viviamo lungo la giornata e quali “parole” infeconde si generano da questi “silenzi”?
Come “educarci al silenzio come ascolto di Dio e dell’altro”? Quali dinamiche e metodi possiamo utilizzare per maturare un vero “silenzio spirituale” che sia “canale” di relazioni nuove? Buon dialogo!
[1] Cappellaro JB, Spiritualità di comunione, Parte IV, La spiritualità del dialogo: Silenzio e parola, EDB 2008, pag. 776 ss.
[2] Ibidem, pag. 777.
[3] Ibidem, cfr. pag. 777.
[4] PSMC Costituzioni, Vita di preghiera, pag. 63; Don Orione 8-12-1922.
[5] Ibidem, Art. 49.
[6] Ibidem, Cappellaro JB, pag. 783.
03 febbraio
E' online il PUZZLE della Superiora generale per il mese di FEBBRAIO 2014:
Avvalersi dell'accompagnamento spirituale come strumento di discernimento, di confronto e di crescita nello Spirito.
(Dimensione sacerdotale: n° 13, pag. 49)