Don Orione era sempre stato dalla parte dei poveri, dei diseredati. Cresciuto povero, vissuto povero, capiva le loro necessità, le loro ribellioni. Nel 1919 lo troviamo sulla barricata: è la barricata della penna, la barricata del foglio di carta, ma è pur sempre una barricata, dalla quale lancia il suo appello, egli vuole giustizia per i figli di Dio, vuole dignità per chi soffre e lavora.
Ancora oggi, restano mille lavori «occulti» non tutelati, resta l'abbrutimento dell'uomo asservito alla macchina, resta la piaga del lavoro minorile sfruttato sotto banco, resta il peso di uno squilibrio che agita ancora le masse in una società trasformata, ma non rinnovata nel profondo dei suoi valori. Don Orione guardava davvero lontano, anche oltre i tempi nei quali viviamo.
Aveva una grande passione per l'uomo; passione per la Chiesa e per l'uomo in modo indistinto. Illuminante a riguardo è la sua presa di posizione nei confronti del Modernismo. Egli si pone davanti alla crisi della Chiesa non sul piano della dialettica, non sul piano dei chiarimenti dottrinali, ma su quello della carità.
L'essere amico dei modernisti mentre si sente figlio devotissimo della Chiesa, fa scoprire una sua sensibilità tutta particolare: il primato della carità. Questa virtù non può mai metterci contro nessuno. Di qui il suo motto programmatico: «Fare del bene sempre, del bene a tutti, del male mai, a nessuno!».
Don Orione ha elaborato, sotto l'impulso della grazia dello Spirito, un patrimonio evangelico in un contesto e con contenuti essenzialmente sociali. Gli nacque nella mente e nel cuore l'esperienza religiosa dell'umanità come «insieme».
La sua santità si rivelava a lui destinata a «creare» società, a determinare cambiamento, a influire sulla sua direzione, sulla sostanza stessa dei modelli di vita dei popoli, sull'organizzazione sociale del mondo.